Twin Peaks per immagini e la potenza visiva
Il cinema, prima che diventasse narrazione coi fratelli Lumière, era immagine. Immagine in movimento, qualcosa di mai visto prima, una nuova travolgente forma d’arte che celava la magia dietro un banale difetto ottico. E così nacque il cinema di Méliès, non a caso un illusionista per mestiere. Georges Méliès dava vita a geniali piccoli film ricchi di effetti speciali rudimentali che pescava direttamente dalla sua valigia di mago, rendendo vivo lo stupore nello spettatore, che rimaneva ammaliato e perturbato di fronte all’incanto della sua maestria.
Un homme de têtes, Georges Méliès
L’ottava puntata della terza stagione di Twin Peaks trasforma la fruizione in materia malleabile, potenza esplosiva, stupore, magia. E la narrazione si perde tra le immagini, nell’essenza stessa del cinema, che non è fatto di parole, ma di fotogrammi. L’impatto è forte, pregno di una valenza storica che riporta alla mente il miglior cinema del passato dando speranza a quello del futuro, spogliandolo della banalità del testo per riportarlo alle sue origini, dandogli una dimensione quasi aptica, come se ci trovassimo in uno dei quadri di Lynch, da cui sbucano cupi pezzi vivi di massa.
Distorted Nude, David Lynch
Twin Peaks 3×08
L’esplosione di immagini, l’elettricità onnipresente che sembra dare vita alle cose, alle persone e al pianeta stesso, mi hanno ricordato l’apertura de L’albero della vita di Terrence Malick, in cui la linearità della narrazione classica lascia spazio alla giustapposizione di immagini, un racconto di impressioni visive. Tutto prende vita ed è movimento in tensione, è un magma incontenibile – e i test nucleari in Messico che appaiono nei flashback dell’ottava puntata di Twin Peaks ne sono una chiara rappresentazione – che ha bisogno di deflagrare nelle più disparate suggestioni e nelle più variegate forme e sperimentazioni registiche, sempre nel segno di un’ottica profondamente disturbante, biglietto da visita di David Lynch.
Twin Peaks 3×08
Twin Peaks 3×08
Tree of Life, Terrence Malick
Lynch è l’apoteosi del postmoderno, del pastiche, dell’auto-citazionismo* e della sovrapposizione di mezzi, forse l’unico regista vivente in grado di esplorare l’inconscio e l’origine del male con così tanto appassionato ardore e carica destabilizzante. Per questo motivo la terza stagione di Twin Peaks – ma in realtà tutto Lynch in generale – va presa e goduta senza l’arrogante pretesa di tracciare un filo prettamente narrativo a tutti i costi. Messe da parte le reticenze e la dis-abitudine a un cinema – ops, serie TV! – di immagini, tutto sta nel lasciarsi trasportare dalla magia, proprio come si faceva ai tempi di Méliès. Con la piccola differenza che quella di Georges Méliès era innocente magia bianca, quella di David Lynch è una magia “nera come la notte.”
Twin Peaks, 3×08 – Fotogramma emblematico dal sapore altamente hopperiano
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