Letteratura,  Narrativa

Mary Shelley e Frankenstein, tra fragilità e poesia

Mary Godwin Wollstonecraft, la futura Mary Shelley, raggiunse la fama grazie alla pubblicazione di Frankensetin; or, The Modern Prometheus nel 1818. Questo testo entrò nella storia, diventando uno dei primi romanzi gotici scritti da una donna. In Frankenstein emergono Mary Shelley, la sua vita straziante e tutta la fragilità che ha saputo trasformare in poesia. 

Passando in rassegna le fasi salienti della vita di Mary, non sorprende come la sua opera più acclamata sia così cupa, triste, sofferente. Eppure Mary Shelley ha saputo elaborare le fragilità e Frankenstein ne è la dimostrazione.  

Una vita dolorosa 

Nata nel 1797 a Londra, da un severo padre filosofo e da una madre femminista autrice di testi all’avanguardia sulla parità delle donne, che morì poco dopo avere dato la vita, Mary crebbe tra libri, cultura e ideali libertari. Gli strascichi della Rivoluzione Francese e l’impeto del romanticismo britannico probabilmente influirono molto sulla scelta di Mary di abbandonare il nido familiare per seguire l’amore. 

Percy Bysshe Shelley era un giovane idealista sposato, alacre frequentatore di casa Godwin-Wollstonecraft. Fu facile per lui innamorarsi della diciassettenne Mary, una donna intelligente e libera. Nonostante la contrarietà di Mr Godwin in merito alla loro unione, i due decisero di fuggire insieme, accompagnati da Jane Claire Clairmont, la sorellastra di Mary, a sua volta innamorata del tanto imperscrutabile quanto eccentrico Lord Byron.

Shelley abbandonò la prima moglie, con tutto ciò che nel Diciannovesimo secolo ne poteva conseguire. E una volta suicidatasi Harriet, Percy e Mary persero la loro bambina e decisero di sposarsi. I colori del lago di Ginevra e le mura di Villa Diodati fecero il resto, regalando ai coniugi Godwin-Shelley gli attimi più spensierati e felici della loro vita. 

Raggiunti dall’esiliato Lord Byron e dal suo medico personale John Polidori per l’estate del 1816, Mary, Percy e Claire trascorrevano lunghe nottate di fronte al camino raccontando storie, mentre fuori imperversava la pioggia. 

Fu esattamente in una di queste nottate a Villa Diodati che due dei romanzi gotici più famosi al mondo nacquero e divennero le fondamenta su cui costruire l’horror moderno e contemporaneo. Da una parte il mostro, dall’altra il vampiro, figli, ma allo stesso tempo ombre, dei loro stessi creatori. 

Mary Shelley e Frankenstein, tra fragilità e poesia
Ognuno scriva una storia, così orribile, così spaventosa, che non ci sia essere umano che possa ascoltarla senza rimanere impressionato. Che non esista notte senza paura, né incubo senza il vostro nome

Ma i sogni, si sa, sono destinati a finire. Nel 1818 Mary perde altri due figli e Percy muore nel 1822 annegato a La Spezia. Fortunatamente il quarto figlio sopravvive, ma ormai il dramma della perdita si ripresenta ciclicamente al cospetto di Mary e ha le sembianze del mostro più spaventoso, contro il quale nemmeno Frankenstein può competere. 
Mary si ammala, perde gradualmente la lucidità e la memoria, sprofonda in un precipizio oscuro quanto la notte, per poi morire nel 1851.

La morte non è la fine

In un suo scritto, Cynthia Hendershot dichiara che “il romanzo assolve una funzione sociale: dare un volto alle paure di ogni epoca e offrire la possibilità di distruggerle. La creature di Mary Shelley incarnava i peggiori incubi delle classi sociali della Gran Bretagna dell’età della Reggenza: il potere sfrenato della donna, i frutti di una scienza che non faceva i conti con Dio, la ribellione degli umili. Così come avevano distrutto sua madre, pioniera del femminismo, la società e la sventura distrussero Mary Shelley. Il teatro trasformò la sua creatura – un essere con le mani sporche di sangue ma sensibile alla filosofia e alla bellezza – in una bestia goffa e primitiva.” (cfr Mary Shelley e la morte del mostro, R. Lagartos, J.C. Iglesias). 

Mary Shelley e Frankenstein, tra fragilità e poesia

Dal canto suo, la critica non fece altro che infierire, sottolineando come un’opera come Frankenstein non potesse essere certo frutto della mente di una donna, per di più di una donna così giovane. Cosa poteva la diciannovenne Mary di fronte a due mostri della letteratura come Percy Bysshe Shelley e George Gordon Byron? Eppure Mary riuscì a riscrivere le sorti della letteratura gotica, rendendola moderna, calibrata a un’epoca di incertezze, in cui l’eroe senza macchia non aveva più senso di esistere. 

Mary Shelley, Frankenstein e la fragilità che si trasforma in poesia 

Frankenstein, come il suo padre fittizio e la sua madre letteraria, viene rifiutato. Emarginato dalla società, solo, chiede che gli venga data una compagna con la quale condividere la sofferenza, ma anche questa speranza gli viene negata. Non resta che chiedersi, dunque, chi sia il verso mostro tra Victor Frankenstein, lo scienziato che sfida le leggi della natura e di Dio, e Frankenstein il “mostro”. 

Sono forse proprio questi aspetti che legano indissolubilmente Mary Shelley al suo Frankenstein: la fragilità, la sofferenza, la disperazione, la solitudine, la perdita. Così Mary diventa l’ombra di Frankenstein e Frankenstein diventa quella di Mary. E i versi di S.T. Coleridge riecheggiano ancora più forti e pregni di significato ripresi dalle pagine di Mary:

Like one who, on a lonely road, 
Doth walk in fear and dread, 
And, having once turned round, walks on, 
And turns no more his head; 
Because he knows a frightful fiend 
Doth close behind him tread

Come colui che, lungo una strada deserta,
Cammina in preda alla paura e al terrore,
E, dopo essersi girato una volta, prosegue
Senza più guardarsi alle spalle;
Perché sa che un demone spaventoso
Cammina proprio dietro di lui.

Mary Shelley e Frankenstein, tra fragilità e poesia
Ti ho sempre sentito

Mary Shelley ha saputo trasformare il suo Frankenstein, le sue fragilità, in poesia.Oggi la sua memoria continua a vivere in tutti noi. E noi siamo liberi/e di dare al demone che cammina dietro di noi il nome che vogliamo. 

Le tavole sono di Raquel Lagartos e Julio César Iglesias, Mary Shelley e la morte del mostro, Mondadori, 2018

 

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